In memoria di Angelica Savinio

Angelica è stata una donna coraggiosa, molto amata, sorridente con un approccio benevolo verso il prossimo e le incognite con le sue problematiche che la vita riserva.

Mi piace ricordare Angelica che nel 1959 si ritrovò da sola costretta a cambiare radicalmente tutta la sua vita, con due bambine molto piccole, una di due anni e mezzo e l’altra neonata.

Dopo un inevitabile primo periodo di smarrimento e di grande fatiche
passò dal trascorrere una vita tranquilla e agiata in Sud Africa ( mio padre lavorava nella sede dell’Alitalia a Johannesburg) con una figlia piccola, a essere trasferita a Zurigo con una seconda figlia neonata e con un matrimonio in crisi che si concluse nel 1961.

Da allora Angelica si trasferì definitivamente a Roma e nel 1964 cominciò a lavorare alla galleria il Segno, in un primo momento come dipendente e in un secondo tempo come proprietaria.

Mi piace qui riportare uno scritto della mamma che abbiamo ritrovato in casa dopo la sua morte, in modo chiaro si capisce quella che è stata la sua vita.

“Dopo un periodo “coniugale”, mi trovai, da sola, non ancora trentenne, con due figlie piccolissime, una di due anni e mezzo e una neonata. E cominciò una nuova vita, la “mia” vita. Cominciò casualmente. Mi fu proposto di lavorare in una importante galleria romana. Decisione difficilissima: per parecchi anni ero stata “fuori”, non sapevo niente, non conoscevo il mondo artistico romano, e mi trovavo in un grande imbarazzo. Accettai il rischio. E fu ancora più difficile, pochi mesi dopo, accettare la proposta, o piuttosto, l’’imposizione’ di occuparmi di una piccola galleria, creata anni prima dagli allora proprietari della galleria dove lavoravo, e che a loro non interessava più, dato che avevano deciso di gestire esclusivamente la Galleria internazionale, italo americana molto impegnativa. Non avevo scelta. L’affrontai con coraggio, con timore e con molta curiosità. E soprattutto con il desiderio di dimostrare a me stessa che potevo rischiare. E ci sono riuscita: i primi anni tremebondi, con grandi paure. Sono stata molto aiutata dagli amici pittori, Piero Dorazio, Achille Perilli, Toti Scialoja, Gastone Novelli, Ninì Santoro, mio fratello: mi mettevano a disposizione le loro opere, mi aiutavano a realizzare le mostre: mi avviavano a costruire quello che poi sarebbe diventato il mio lavoro, per oltre quarantacinque anni, e che ora continua mirabilmente mia figlia Francesca.”
Nella vita movimentata che Angelica ha vissuto è rimasto sempre il costante attaccamento e amore per la casa del Poveromo. Ogni estate ci tornava per ritrovare i tanti amici che c’erano. Angelica trasformava la casa in un luogo di incontro, affettuoso e informale: cene, feste erano all’ordine del giorno.
Dal ristorante Cipriano, in tarda serata capitava spesso che gli amici si trasferissero a casa nostra a cantare con la chitarra suonata da Marietto, ospite fisso di Cipriano, o da Paolo Ciarchi che si sedeva con le gambe incrociate sul tavolo con la chitarra.
Questa era Angelica Savinio figlia e nipote di grandi artisti che ha vissuto la sua vita con coraggio in un epoca in cui le donne non osavano staccarsi dai ruoli da loro imposti dalla cultura di quell’epoca. Mia sorella Francesca ed io siamo molto grate a nostra madre per tutto quello che ha costruito e cerchiamo anche noi di conservare tutto quello che lei ha creato insieme ai suoi genitori Maria e Alberto Savinio.